“Posso tranquillamente dire che non c’è una sola sottana in tutta la storia.”
Rider Haggard, Le
miniere di re Salomone, 1886
Lucy
inizia presto, finisce tardi e di solito pulisce anche il water, se solo ce ne
fosse uno; invece non c’è nemmeno l’antenato della turca, ci si limita ad accovacciarsi
dietro un albero, possibilmente a una prudenziale distanza dalla casa, che non
è una caverna (in genere usata per le attività di culto), ma una capanna, o una
tenda di pelli protesa su ossa di mammut, qualche volta una base di pietra
avvolta da tronchi incrociati.1 Nel Pleistocene, cioè
più o meno 42 mila anni fa, le agenzie immobiliari non erano ancora in voga.
Nemmeno la colf. Lucy, che è la discendente del primo essere umano (quella Lucy nera i cui resti
sono stati rinvenuti in Etiopia e fatti risalire a 4 milioni di anni fa),
molto raramente vive oltre i trent’anni2 (a meno che
l’analisi scientifica dei resti fossili non abbia cannato clamorosamente). E’
piuttosto impegnata: cucina i semi, le radici e la frutta che ha raccolto, e le
piccole prede che ha catturato, magari con l’uso di trappole; usa pelli di
animali per confezionare abiti, fionde e recipienti, costruisce ripari
permanenti o momentanei, fabbrica spatole di pietra per raschiare le pelli (poi
essiccate e ammorbidite con grasso animale), forgia lame affilate per tagliare
i tendini degli animali e usarli per allacciare gli indumenti attraverso
rudimentali fori, maneggia erbe e piante per curare e cicatrizzare; alleva i
piccoli, curando il loro corpo e sviluppando il loro quoziente intellettivo, a
quel tempo sempre più evoluto rispetto a quello dei primati. L’apporto delle
donne all’evoluzione umana è quotidiano, costante, fecondo di risultati sul
lungo periodo, e magnificamente sottovalutato dagli storici; meno dagli
antropologi, abituati a concentrarsi su tempi storici più dilatati e ad
analizzare anche i piccoli eventi della vita della maggioranza della
popolazione, non solo i grandi avvenimenti concretizzati magari da pochi
leader.3 C’è il rischio che Lucy abbia inventato anche
l’agricoltura: raccogliendo il cibo, sviluppa capacità di osservazione,
valutazione e memoria che le consentono di scegliere e ricordare le varietà di
frutta, verdure e tuberi a seconda della stagione e del tipo di pianta;
accorgendosi che i resti del pasto germinano e danno frutti, impara a piantarli
in luoghi memorizzati, che può ritrovare quando ritorna con la tribù dalla
migrazione stagionale (il che comporta capacità di pensiero astratto per
considerare un evento passato e poi uno futuro, senza il supporto di teorie
precedenti). Ma il grande balzo avviene quando scopre che può cuocere i cibi;
così facendo contribuisce ad alzare la vita media di una ventina di anni,
tenendo al riparo i suoi cari da disturbi gastrici e infezioni causate dagli
alimenti crudi, responsabili anche della precoce caduta dei denti. Lucy sa
anche cucire; era lei la sicura colpevole, gli aghi di osso erano troppo
piccoli per poter essere agevolmente maneggiati da mani maschili nella
lavorazione delle pelli, e del successivo tessuto4; in quel freddo
glaciale, non si poteva certo girare nudi. Ho l’atroce sospetto che Lucy abbia
avuto anche molti buoni motivi per mettere lo zampino nello sviluppo del
linguaggio: distinguere una bacca velenosa da una commestibile poteva essere
assolutamente cruciale, importante quanto riuscire a renderlo noto anche ad
altre donne, nel corso della giornata di lavoro. I maschi parlavano molto meno,
spesso costretti a non fare rumore durante gli appostamenti della caccia, in
cui erano necessarie forza e furbizia. Nelle 175 civiltà di
cacciatori-raccoglitori in Africa, America, Oceania e Asia esaminate dagli
antropologi, nel 97% dei casi l’attività venatoria era affare maschile.
Una
battuta di caccia, magari alle calcagna di grossi animali in branchi, come
mammut o rinoceronti lanosi, significava stare in gruppo ed escogitare modi per
combattere il meno possibile, attirando gli animali in cima alle rupi o in fondo
a una fossa irta di pali, e attendendo poi che morissero da soli; l’antropologo
Constable riferisce che i cacciatori siberiani dell’età della pietra erano
seguiti dalle donne, che tagliavano le carcasse e ne ricavavano poi ripari,
cibo, vestiti e ornamenti; la cura dei bambini e la protezione del gruppo
sembrano essere le uniche divisioni del lavoro in base al sesso, vigenti sia
tra i primati che tra gli esseri primitivi5. Le donne, però,
difficilmente potevano permettersi di essere del tutto inermi: quando non
seguivano gli uomini a caccia perché mamme di bambini piccoli, restavano
sole e dovevano comunque sapersi difendere. L’esame delle feci e della
dentatura degli esseri umani di quel tempo mostra che la dieta alimentare era
prevalentemente vegetariana6: la caccia era spesso stagionale, non
sempre fruttuosa; i boscimani !Kung del Botswana cacciano per una settimana e
poi non fanno altro per tutto il mese (il caldo, in assenza di frigoriferi,
impedirebbe comunque la conservazione della carne non consumata subito).7 Quindi,
l’80% del cibo consumato proveniva dal lavoro delle donne. Beh, voglio che
sia un uomo a dirlo:
“Con
la caccia si riempiva tutte le serate il bar della tribù, coi maschi a
raccontare quanto erano valorosi, cosa avevano fatto al leone. Poi con la carne
del leone si mangiava un giorno su tre mesi, mentre per il resto le donne
pigliavano semi, radici, verdure, borragine e facevano il risotto.”
Adriano Sofri sulla preistoria, intervistato da Lilli Gruber,
in Streghe, la riscossa delle donne d’Italia, RCS, Milano 2008, p. 141
Lucy
si arrabbierebbe come una belva se sapesse che i nostri libri di storia
veicolano da secoli il mito del “cacciatore”, trascurando di dire che tutto il
resto era altrettanto importante; probabilmente la raccolta è stata sempre
sottovalutata rispetto alla caccia perché ritenuta più semplice e scontata,
perché la carne sembra saziare di più ed era più rara, per la forte rilevanza
attribuita alle proteine animali, perché negli scavi archeologici abbondano i
ritrovamenti di armi e ossa (conservati sino a noi) e non di cesti, frutta o
verdura, poco resistenti al passare del tempo e andati irrimediabilmente
perduti.8 La cosa oggi mi indispettisce, ma Lucy a quel tempo
era abbastanza felice: tutte le società cacciatrici basate sul nucleo della
tribù erano organizzate attorno alle madri, che restavano nella dimora
originaria, annettendovi i maschi che andavano e venivano. Alla donna si deve
anche la tendenza della maggioranza degli esseri umani a essere destrimani; la
femmina tendeva a tenere il piccolo sul lato sinistro del corpo, vicino al
battito cardiaco, usando così prevalentemente la destra per fare tutte le altre
cose; ancora oggi, le bambine sviluppano in media più precocemente dei maschi
la lateralità manuale e la capacità di parlare.
Lucy,
una sapiens sapiens, era anche a tratti biologicamente HARD.
Quando la sua antenata comincia a camminare in posizione eretta, l’angolazione
della vagina si sposta via via in avanti, più in basso e internamente; il
principio evolutivo di adattamento porta il pene maschile ad allungarsi
progressivamente nello sviluppo del rapporto frontale, due cose inesistenti nel
resto dei primati (che hanno un pene piccolissimo!).9 Lucy ha
lasciato anche un’altra impronta epocale nell’evoluzione della razza umana, con
il passaggio dall’estro dei primati (che vanno in calore e partoriscono
soltanto ogni cinque o sei anni) al mestruo degli umani, con una capacità
riproduttiva sessanta volte superiore, che ha salvato la specie umana dalla
possibile estinzione. Lo stesso mestruo che dopo verrà demonizzato per secoli,
e di cui nessun libro di storia oggi parla.
E
soprattutto, Lucy non era particolarmente subordinata ai maschi, non ancora. La
tribù era ben consapevole dell’importanza della sua esperienza e del suo sapere
per la sopravvivenza del gruppo; nessuno pretendeva di controllare la sua
sessualità, Lucy si accoppiava più liberamente di adesso, senza particolari
tabù o diritti di esclusiva; nessuno limitava la sua inventiva; nei numerosi
spostamenti, con una mortalità altissima, senza proprietà privata e smanie di
lusso, su territori poco popolati e in relativa pace tra tribù, non vi
erano ragioni perché i maschi volessero dominare a tutti i costi le femmine, e
il sostanziale piano di parità facilitava la sopravvivenza. Custode misteriosa
della capacità di dare la vita (gli uomini non avevano ancora compreso il
proprio ruolo nell’ingravidare), Lucy era considerata miracolosa, quasi una
divinità. Ora, c’è un dettaglio che non capisco: se le cose a quel tempo
stavano così, perché i libri di storia ci propinano da secoli la favoletta del
cacciatore che regge sulle spalle da solo tutto il peso della preistoria,
dominando con la clava? Avrei un’idea… Non è che tutto ciò che i maschi toccano
diventa oro, per casuale effetto di connaturata autocelebrazione …? Uffy, la
solita malpensante… Però, forse, con qualche complicazione in più, le cose sono
andate più o meno proprio così: la parità è andata a pallino dopo, piano piano,
in un lunghissimo processo psicologico e sociale, e siamo via via finite con
l’essere sottovalutate sempre di più, occultate, invisibili, in un sistema che
è come un cane che si morde la coda.
Le
fonti preziose da cui ho attinto:
La vignetta umoristica è tratta dal sito
www.gandalf.it
1 Zucca, M., 2010, Storia delle donne da Eva a domani, Edizione Simone, p. 58
2 Lowe, M. e Hubbard, R., 1984, Woman’s Nature:
Rationalisations of Inequality, New York, p.131, citato da Miles, R., 2009, Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile delmondo, Elliot Edizioni, p. 32
3 Miles, R., Chi ha cucinato l’ultima cena? op. cit.,
pp. 32 e 48
4 Zucca, M., Storia delle donne da Eva a domani, op.
cit., pp. 60-61
5 Miles, R., Chi ha cucinato l’ultima cena? op. cit.,
pp. 32 e 49
6 Zucca, M., Storia delle donne da Eva a domani, op.
cit., p. 58
7 Miles, R., Chi ha cucinato l’ultima cena?, op. cit.,
p. 33
8 Woman the Gatherer, a cura di F. Dahlberg, Yale
University Press, New Haven 1984, e Lancaster, J., Primate Behaviour
and the Emergence of Human Culture, Holt, Rinehart and Wilson, New
York 1975, p. 80, citato da Anderson B., Zinsser J., Le donne in Europa, Nei campi e nelle chiese, Editori Laterza, 1992, p. 24
9 Miles, R., Chi ha cucinato
l’ultima cena?, op. cit., pp. 38-52
Inoltre:
Gruber, L., 2008,
Streghe, la riscossa delle donne d’Italia, RCS, Milano
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