sabato 22 agosto 2015

2) Unga unga...!!!







  

Posso tranquillamente dire che non cè una sola sottana in tutta la storia.

Rider Haggard, Le miniere di re Salomone, 1886

Lucy inizia presto, finisce tardi e di solito pulisce anche il water, se solo ce ne fosse uno; invece non c’è nemmeno l’antenato della turca, ci si limita ad accovacciarsi dietro un albero, possibilmente a una prudenziale distanza dalla casa, che non è una caverna (in genere usata per le attività di culto), ma una capanna, o una tenda di pelli protesa su ossa di mammut, qualche volta una base di pietra avvolta da tronchi incrociati.1 Nel Pleistocene, cioè più o meno 42 mila anni fa, le agenzie immobiliari non erano ancora in voga. Nemmeno la colf. Lucy, che è la discendente del primo essere umano  (quella Lucy nera i cui resti sono stati rinvenuti in Etiopia e fatti risalire a 4 milioni di anni fa),  molto raramente vive oltre i trent’anni2 (a meno che l’analisi scientifica dei resti fossili non abbia cannato clamorosamente). E’ piuttosto impegnata: cucina i semi, le radici e la frutta che ha raccolto, e le piccole prede che ha catturato, magari con l’uso di trappole; usa pelli di animali per confezionare abiti, fionde e recipienti, costruisce ripari permanenti o momentanei, fabbrica spatole di pietra per raschiare le pelli (poi essiccate e ammorbidite con grasso animale), forgia lame affilate per tagliare i tendini degli animali e usarli per allacciare gli indumenti attraverso rudimentali fori, maneggia erbe e piante per curare e cicatrizzare; alleva i piccoli, curando il loro corpo e sviluppando il loro quoziente intellettivo, a quel tempo sempre più evoluto rispetto a quello dei primati. L’apporto delle donne all’evoluzione umana è quotidiano, costante, fecondo di risultati sul lungo periodo, e magnificamente sottovalutato dagli storici; meno dagli antropologi, abituati a concentrarsi su tempi storici più dilatati e ad analizzare anche i piccoli eventi della vita della maggioranza della popolazione, non solo i grandi avvenimenti concretizzati magari da pochi leader.3  C’è il rischio che Lucy abbia inventato anche l’agricoltura: raccogliendo il cibo, sviluppa capacità di osservazione, valutazione e memoria che le consentono di scegliere e ricordare le varietà di frutta, verdure e tuberi a seconda della stagione e del tipo di pianta; accorgendosi che i resti del pasto germinano e danno frutti, impara a piantarli in luoghi memorizzati, che può ritrovare quando ritorna con la tribù dalla migrazione stagionale (il che comporta capacità di pensiero astratto per considerare un evento passato e poi uno futuro, senza il supporto di teorie precedenti). Ma il grande balzo avviene quando scopre che può cuocere i cibi; così facendo contribuisce ad alzare la vita media di una ventina di anni, tenendo al riparo i suoi cari da disturbi gastrici e infezioni causate dagli alimenti crudi, responsabili anche della precoce caduta dei denti. Lucy sa anche cucire; era lei la sicura colpevole, gli aghi di osso erano troppo piccoli per poter essere agevolmente maneggiati da mani maschili nella lavorazione delle pelli, e del successivo tessuto4; in quel freddo glaciale, non si poteva certo girare nudi. Ho l’atroce sospetto che Lucy abbia avuto anche molti buoni motivi per mettere lo zampino nello sviluppo del linguaggio: distinguere una bacca velenosa da una commestibile poteva essere assolutamente cruciale, importante quanto riuscire a renderlo noto anche ad altre donne, nel corso della giornata di lavoro. I maschi parlavano molto meno, spesso costretti a non fare rumore durante gli appostamenti della caccia, in cui erano necessarie forza e furbizia. Nelle 175 civiltà di cacciatori-raccoglitori in Africa, America, Oceania e Asia esaminate dagli antropologi, nel 97% dei casi l’attività venatoria era affare maschile.

Una battuta di caccia, magari alle calcagna di grossi animali in branchi, come mammut o rinoceronti lanosi, significava stare in gruppo ed escogitare modi per combattere il meno possibile, attirando gli animali in cima alle rupi o in fondo a una fossa irta di pali, e attendendo poi che morissero da soli; l’antropologo Constable riferisce che i cacciatori siberiani dell’età della pietra erano seguiti dalle donne, che tagliavano le carcasse e ne ricavavano poi ripari, cibo, vestiti e ornamenti; la cura dei bambini e la protezione del gruppo sembrano essere le uniche divisioni del lavoro in base al sesso, vigenti sia tra i primati che tra gli esseri primitivi5. Le donne, però, difficilmente potevano permettersi di essere del tutto inermi: quando non  seguivano gli uomini a caccia perché mamme di bambini piccoli, restavano sole  e dovevano comunque sapersi difendere. L’esame delle feci e della dentatura degli esseri umani di quel tempo mostra che la dieta alimentare era prevalentemente vegetariana6: la caccia era spesso stagionale, non sempre fruttuosa; i boscimani !Kung del Botswana cacciano per una settimana e poi non fanno altro per tutto il mese (il caldo, in assenza di frigoriferi, impedirebbe comunque la conservazione della carne non consumata subito).7 Quindi, l’80% del cibo consumato proveniva dal lavoro delle donne. Beh, voglio che sia un uomo a dirlo:

“Con la caccia si riempiva tutte le serate il bar della tribù, coi maschi a raccontare quanto erano valorosi, cosa avevano fatto al leone. Poi con la carne del leone si mangiava un giorno su tre mesi, mentre per il resto le donne pigliavano semi, radici, verdure, borragine e facevano il risotto.”

Adriano Sofri sulla preistoria, intervistato da Lilli Gruber,
in Streghe, la riscossa delle donne d’Italia, RCS, Milano 2008, p. 141


Lucy si arrabbierebbe come una belva se sapesse che i nostri libri di storia veicolano da secoli il mito del “cacciatore”, trascurando di dire che tutto il resto era altrettanto importante; probabilmente la raccolta è stata sempre sottovalutata rispetto alla caccia perché ritenuta più semplice e scontata, perché la carne sembra saziare di più ed era più rara, per la forte rilevanza attribuita alle proteine animali, perché negli scavi archeologici abbondano i ritrovamenti di armi e ossa (conservati sino a noi) e non di cesti, frutta o verdura, poco resistenti al passare del tempo e andati irrimediabilmente perduti.8 La cosa oggi mi indispettisce, ma Lucy a quel tempo era abbastanza felice: tutte le società cacciatrici basate sul nucleo della tribù erano organizzate attorno alle madri, che restavano nella dimora originaria, annettendovi i maschi che andavano e venivano. Alla donna si deve anche la tendenza della maggioranza degli esseri umani a essere destrimani; la femmina tendeva a tenere il piccolo sul lato sinistro del corpo, vicino al battito cardiaco, usando così prevalentemente la destra per fare tutte le altre cose; ancora oggi, le bambine sviluppano in media più precocemente dei maschi la lateralità manuale e la capacità di parlare.
Lucy, una sapiens sapiens, era anche a tratti biologicamente HARD. Quando la sua antenata comincia a camminare in posizione eretta, l’angolazione della vagina si sposta via via in avanti, più in basso e internamente; il principio evolutivo di adattamento porta il pene maschile ad allungarsi progressivamente nello sviluppo del rapporto frontale, due cose inesistenti nel resto dei primati (che hanno un pene piccolissimo!).9 Lucy ha lasciato anche un’altra impronta epocale nell’evoluzione della razza umana, con il passaggio dall’estro dei primati (che vanno in calore e partoriscono soltanto ogni cinque o sei anni) al mestruo degli umani, con una capacità riproduttiva sessanta volte superiore, che ha salvato la specie umana dalla possibile estinzione. Lo stesso mestruo che dopo verrà demonizzato per secoli,  e di cui nessun libro di storia oggi parla.  
E soprattutto, Lucy non era particolarmente subordinata ai maschi, non ancora. La tribù era ben consapevole dell’importanza della sua esperienza e del suo sapere per la sopravvivenza del gruppo; nessuno pretendeva di controllare la sua sessualità, Lucy si accoppiava più liberamente di adesso, senza particolari tabù o diritti di esclusiva; nessuno limitava la sua inventiva; nei numerosi spostamenti, con una mortalità altissima, senza proprietà privata e smanie di lusso, su territori poco popolati e in relativa pace tra tribù,  non vi erano ragioni perché i maschi volessero dominare a tutti i costi le femmine, e il sostanziale piano di parità facilitava la sopravvivenza. Custode misteriosa della capacità di dare la vita (gli uomini non avevano ancora compreso il proprio ruolo nell’ingravidare), Lucy era considerata miracolosa, quasi una divinità. Ora, c’è un dettaglio che non capisco: se le cose a quel tempo stavano così, perché i libri di storia ci propinano da secoli la favoletta del cacciatore che regge sulle spalle da solo tutto il peso della preistoria, dominando con la clava? Avrei un’idea… Non è che tutto ciò che i maschi toccano diventa oro, per casuale effetto di connaturata autocelebrazione …? Uffy, la solita malpensante… Però, forse, con qualche complicazione in più, le cose sono andate più o meno proprio così: la parità è andata a pallino dopo, piano piano, in un lunghissimo processo psicologico e sociale, e siamo via via finite con l’essere sottovalutate sempre di più, occultate, invisibili, in un sistema che è come un cane che si morde la coda.


                        



Le fonti preziose da cui ho attinto:

La vignetta umoristica è tratta dal sito www.gandalf.it

1 Zucca, M., 2010, Storia delle donne da Eva a domaniEdizione Simone, p. 58
2 Lowe, M. e Hubbard, R., 1984, Woman’s Nature: Rationalisations of Inequality, New York, p.131, citato da Miles, R., 2009,  Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile delmondoElliot Edizioni, p. 32
3 Miles, R., Chi ha cucinato l’ultima cena? op. cit., pp. 32 e 48
4 Zucca, M., Storia delle donne da Eva a domani, op. cit., pp. 60-61
5 Miles, R., Chi ha cucinato l’ultima cena? op. cit., pp. 32 e 49
6 Zucca, M., Storia delle donne da Eva a domani, op. cit., p. 58
7 Miles, R., Chi ha cucinato l’ultima cena?, op. cit., p. 33
8 Woman the Gatherer, a cura di F. Dahlberg, Yale University Press, New Haven 1984, e Lancaster, J., Primate Behaviour and the Emergence of Human Culture, Holt, Rinehart and Wilson, New York 1975, p. 80, citato da Anderson B., Zinsser J., Le donne in Europa, Nei campi e nelle chiese, Editori Laterza, 1992, p. 24
9 Miles, R., Chi ha cucinato l’ultima cena?, op. cit., pp. 38-52

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