Sera
di aprile. Ristorantino dolcissimo e impreziosito di ninnoli antichi che
attivano la nostra memoria di esseri umani. Quattro donne molto diverse tra
loro, splendidamente complesse e venate di mille sfumature variopinte, come
solo noi donne sappiamo essere, stanno mescolando nell’impasto della
conversazione le difficoltà del quotidiano, l’amore e il sesso, la voglia di
scappare a Miami e la crisi economica. Giorgia è seduta alla mia sinistra,
quarantaquattro anni, indipendente economicamente, reduce per scelta dalla fine
di un matrimonio organizzato stile mamma chioccia che accudisce nel dettaglio
non solo i figli ma anche il marito: un menage familiare in cui lei gestiva le
finanze di casa, trattava per il mutuo, lavorava in casa e fuori, cucinava da
Dea, non aveva neanche la colf, insomma… Wonder Woman, se non fosse per il
“dettaglio” che aveva abituato i maschi di casa a non spostare un granello di
polvere dai mobili nemmeno per sbaglio. Ora Cupido l’ha trafitta al cuore
con un missile a lunga gittata in grado di polverizzare una mosca rannicchiata
in un buco sotto cento metri di asfalto. Racconta con lo sguardo da pesce lesso
su un letto di foglie di profumata rucola che lei ora ha bisogno di un vero
uomo, che le dia finalmente attenzioni e la protegga, lei lo piazzerà al centro
del proprio mondo come una “geisha”. Per ventinove secondi le mie
funzioni vitali interrompono ogni minima traccia di attività regolare; il
mononeurone, già fiacco di suo, scantona nell’angolo di scatola cranica in cui
da anni ormai si sta sviluppando allegramente l’Alzheimer, e tenta con tutte le
proprie forze di scordarsi chi sono e perché sono lì; il cervello si trasforma
in una landa desolata, boccheggio. Poi ingollo un goccio di droga (strafigo
Nebbiolo) e mi costringo a riflettere. Dicesi geisha una giovane e avvenente
donna giapponese, istruita nella musica, nella danza, nel canto e nella rituale
cerimonia del tè, che intrattiene gli uomini, figura erroneamente confusa dagli
occidentali con le prostitute. Mi piace pochissimo, puzza di molliccio,
sottomesso, remissivo, la solita zuppa per maschi che chiudono in casa mogli
lasciate nell’ignoranza più assoluta e totalmente ininfluenti nella società,
per andare a trastullarsi a pagamento con la strafiga di turno che ancheggia
nel kimono di seta. Già che ci siamo mi passano davanti agli occhi anche le
figure delle donne cinesi, martoriate per secoli dal piegamento forzato delle
punte delle dita dei piedi sotto la pianta, per rendere il loro incedere
grazioso come quello di una bambolina caricata a pile. Ok, voglio spaccare la
testa di Giorgia con una mazza da baseball. Quella che ho vicino è una donna tosta, capace di affrontare tutto, di gestire
un’attività lavorativa e contemporaneamente reggere una famiglia sopperendo a
un marito troppo fragile e introverso, eppure la sento in trappola. La
mia giovane e autonoma amica ha appena snocciolato il più antico concetto
del mondo, che ha retto l’orrido sistema fino ad ora e che, ne ho l’atroce
sospetto, lo reggerà ancora per moltissimo tempo. Il perché la donna sia
subordinata all’uomo e nel mondo conti di fatto pochissimo,
nonostante l’immenso lavoro che si sciroppa, è tutto qui, sta bussando al mio
cervello, vuole entrare e portare a galla quello che popolava lo strato
delle mie convinzioni più vicine all’inconscio, e si rifiutava di
emergere chiaramente. Fisso il bicchiere di delizioso Nebbiolo e mi chiedo come
farò, domani, a raccattare le macerie delle mie certezze, incentrate
abbondantemente sull’egoismo e le colpe maschili, che sono storicamente
indubbie e restano, ma non possono essere gli unici tasselli determinanti nel
puzzle. Ho letto “Il complesso di Cenerentola” trent’anni fa, ma non sarà mica
ancora vivo…..?!!! La verità è che le donne devono smetterla di volare basso,
sono le prime a dover imparare a dare valore alle donne, e non solo perché
sanno far brillare le piastrelle del bagno.
Sono
passati alcuni giorni. Ormai è chiaro il perchè, tra le altre cose, Giorgia sta
attraversando la mia vita: per farmi comprendere. Quale potentissimo mix di “amore per gli uomini,
bisogno di accettazione, cultura ancestrale” può spingere una donna a regredire
dentro il proprio nucleo più profondo di femminilità a volte castrante
perché da sempre improntata alla remissività, circoscritta al servizio, alla cura degli altri, a
un’esistenza in secondo piano? Perché l’essere femminili per piacere a un uomo
deve per forza implicare il rimpicciolirsi davanti a lui e il rinunciare alle proprie
infinite potenzialità? Chi decide cosa deve essere una donna? Come siamo
arrivate, nei secoli, ad avere bisogno di ricevere protezione da chi esce dalla
nostra vagina e si nutre del nostro latte? Quanti milioni di chilometri di
differenza mettiamo tra una femminuccia e una donna? Perché noi occidentali,
nel 2015, ristagniamo nella nostra presunta emancipazione, e quanto sono
infinitamente più coraggiose di noi le donne arabe scese in strada in Arabia
Saudita per fare una cosa semplice e naturale come guidare un’auto, facendosi
arrestare perché è loro proibito? Ma soprattutto: quando libereremo gli uomini
da questa condanna sempiterna a dover essere forti? Era troppo semplice, adesso
cambia tutto: la prospettiva, lo sguardo indietro e avanti, l’obiettivo finale.
Non voglio più spaccare la testa di Giorgia con una mazza da baseball. Decido
che a tutte noi donne del terzo millennio, di cui Giorgia incarna
esemplarmente le contraddizioni, voglio dedicare qualcosa di speciale, di molto mio,
che esca dal mio cervello ma soprattutto dalla mia anima. Questo blog. Lo dedico anche agli uomini che hanno il coraggio di sperimentarsi al di là dei condizionamenti soliti. Il
viaggio comincia qui, il più pazzo del mondo, con tutte le donne dentro,
bianche e nere, di sinistra e di destra, etero e gaie, vorrei che le differenze fossero mattoni che
costruiscono e non solo lame che dilaniano. Ogni donna deve poter decidere cosa
essere al di là dei condizionamenti, nessuno può stabilirlo per lei, non
un’altra donna, figuriamoci un uomo.
Rebecca
Maggio
2015
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