mercoledì 2 dicembre 2015

3) Unga unga ........il ritorno!!!





“La storia, la solenne storia reale, non mi interessa affatto. E a voi?”
“Io adoro la storia!”
“Come vi invidio! Io, per dovere, ne ho letto un po’; ma non ci vedo
niente che o non mi irriti o non mi annoi: litigi di papi e di re, guerre
o pestilenze in ogni pagina. Uomini che non valgono granché e quasi
niente donne - è fastidiosissimo.”

Jane Austen, Northanger Abbey1



Svezia, Barum. Anni ’40 del Novecento. Alcuni contadini trovano nella terra uno scheletro in posizione fetale. Gli antropologi accorrono a frotte, il piatto è ghiotto, l’emozione sempre inebriante come la prima volta. Gli oggetti che lo scheletro ha accanto sembrano un corredo funebre: alcune punte di freccia, una fiocina, una sorta di coltello da pesca. Gli esami li fanno risalire a settemila anni fa. Ci si riferisce con estrema naturalezza allo scheletro come se fosse quello di un uomo, sino a quando esami più approfonditi delle ossa del bacino non rivelano che ha partorito una dozzina di volte. Ops! Anche per uno scienziato deve essere ardua la lotta con l’immaginario collettivo e la cultura in cui tutti galleggiamo (compreso lui), che vuole le armi collegate automaticamente a un portatore di pisello; ma se lo scienziato non vince la lotta con gli stereotipi, le conseguenze possono essere molto poco scientifiche… Ogni volta che per scoprire il passato ci si affida solo a tombe, senza iscrizioni più precise o documenti, e magari non si possono eseguire analisi genetiche per mancanza di fondi, o quando si esamina un’incisione rupestre, a quanto pare si dà generalmente per scontato di trovarsi di fronte a figure maschili, a meno che non siano ben evidenti i triangolini dei seni o della vulva.2 Questo atteggiamento porta a una trascurabile, piccola conseguenza: anche senza prove certe, le azioni vengono attribuite sempre ai maschi. Ad esempio, il simbolo delle corna bovine è sempre associato al toro anche quando è la vacca ad essere sacra, come nella zona delle Alpi.3 Cavolo, stento a crederci… Il carro romano a due ruote rinvenuto accanto a un maschio fa generalmente di lui un grande comandante; in una tomba femminile, invece, evidenzia senz’altro la condizione di matrona e le funzioni di madre, anche se il contesto non c’entra con i romani e le matrone non esistevano; uno scudo di bronzo è segno di combattimenti per un uomo, segno di rango per una donna.4 Ne risulta una Storia scritta dai maschi, con occhi maschili e metodi non sempre obiettivi, una storia che da sempre considera basilari i grandi eventi e trascura il lato umano, le masse, le emozioni, la vita semplice di tutti i giorni e i risvolti del quotidiano. E le donne? Quasi assenti dai documenti ufficiali, occorre scovarle in una storia parallela, quella di chi non aveva gli onori ma molti oneri, di chi custodiva la memoria e la tramandava magari raccontando o cantando, di chi teneva in vita i segreti della natura e le tecniche più antiche, di chi faceva la psicologa o l’erborista ogni giorno senza saperlo. Sarebbe bello guardare con occhi nuovi la vita dei popoli, le mentalità che cambiano, le sensibilità che influenzano le culture. L’evoluzione non è solo fatta di uomini famosi, ma della mentalità della gente comune, e si può studiare non solo focalizzandosi sui grandi eventi, ma su lunghissimi periodi temporali più sfumati e sovrapposti, in cui anche la cooperazione, e non solo la competizione, ha consentito alla razza umana di progredire. Questo significa intrecciare i sentimenti e il vissuto delle persone con le variabili economiche, sociali e culturali, e ottenere NOI UMANI. Significa scrutare dentro archivi giudiziari e notarili, ma anche tra corrispondenze epistolari private e diari, cerimonie e modi di parlare, autobiografie e biografie.5 Si chiama antropologia storica, e per fortuna è operativa da tempo. Anche la stessa storiografia si è data impulsi nuovi; d’altra parte, come tutte le scienze, è tale proprio perché si smentisce e si perfeziona, e oggi non crediamo più che la terra sia piatta: negli anni ’60 del novecento, attiviste studiose come Joan Kelly e Gerde Lerner hanno inaugurato le ricerche di studiose e studiosi, incarnate in centinaia di lavori (tra cui le ricerche del medioevalista Georges Duby), che hanno consegnato un risultato certo: le differenze in base a ceto sociale, epoca storica e nazione, valide per i maschi, non hanno pesato sulle donne così tanto come per gli uomini; ha inciso molto di più “l’essere di  sesso femminile”, non importa dove e quando.

Non vi è stato Rinascimento per le donne o, almeno, non durante il Rinascimento6 


Un destino comune, specie per le donne d’Europa, che voleva dire contare qualcosa (ed essere tracciate su un documento di rilevanza storica) solo in quanto mogli, madri, figlie o sorelle di un certo maschio; che voleva dire svolgere da sempre un doppio lavoro rispetto ai maschi ( sottostimato, dentro o fuori casa che fosse); un destino comune che significava essere  circondate sempre, regine o schiave, da una visione negativa che le voleva inferiori per natura, e che le influenzava profondamente al ribasso nei sogni anche più teorici, figuriamoci nelle loro realizzazioni.