“La storia, la solenne storia reale, non mi interessa
affatto. E a voi?”
“Io adoro la storia!”
“Come vi invidio! Io, per dovere, ne ho letto un po’;
ma non ci vedo
niente che o non mi irriti o non mi annoi: litigi di
papi e di re, guerre
o pestilenze in ogni pagina. Uomini che non valgono
granché e quasi
niente donne - è fastidiosissimo.”
Jane Austen, Northanger Abbey1
Svezia,
Barum. Anni ’40 del Novecento. Alcuni contadini trovano nella terra uno
scheletro in posizione fetale. Gli antropologi accorrono a frotte, il piatto è
ghiotto, l’emozione sempre inebriante come la prima volta. Gli oggetti che
lo scheletro ha accanto sembrano un corredo funebre: alcune punte di freccia,
una fiocina, una sorta di coltello da pesca. Gli esami li fanno risalire a
settemila anni fa. Ci si riferisce con estrema naturalezza allo scheletro come
se fosse quello di un uomo, sino a quando esami più approfonditi delle ossa del
bacino non rivelano che ha partorito una dozzina di volte. Ops! Anche per uno
scienziato deve essere ardua la lotta con l’immaginario collettivo e la cultura
in cui tutti galleggiamo (compreso lui), che vuole le armi collegate
automaticamente a un portatore di pisello; ma se lo scienziato non vince la
lotta con gli stereotipi, le conseguenze possono essere molto poco
scientifiche… Ogni volta che per scoprire il passato ci si affida solo a tombe,
senza iscrizioni più precise o documenti, e magari non si possono eseguire
analisi genetiche per mancanza di fondi, o quando si esamina un’incisione
rupestre, a quanto pare si dà generalmente per scontato di trovarsi di fronte a figure
maschili, a meno che non siano ben evidenti i triangolini dei seni o della
vulva.2 Questo atteggiamento porta a una trascurabile, piccola
conseguenza: anche senza prove certe, le azioni vengono attribuite sempre ai
maschi. Ad esempio, il simbolo delle corna bovine è sempre associato al toro
anche quando è la vacca ad essere sacra, come nella zona delle Alpi.3 Cavolo,
stento a crederci… Il carro romano a due ruote rinvenuto accanto a un maschio
fa generalmente di lui un grande comandante; in una tomba femminile, invece,
evidenzia senz’altro la condizione di matrona e le funzioni di madre, anche se
il contesto non c’entra con i romani e le matrone non esistevano; uno scudo di
bronzo è segno di combattimenti per un uomo, segno di rango per una donna.4 Ne
risulta una Storia scritta dai maschi, con occhi maschili e metodi non sempre
obiettivi, una storia che da sempre considera basilari i grandi eventi e
trascura il lato umano, le masse, le emozioni, la vita semplice di tutti i
giorni e i risvolti del quotidiano. E le donne? Quasi assenti dai documenti
ufficiali, occorre scovarle in una storia parallela, quella di chi non
aveva gli onori ma molti oneri, di chi custodiva la memoria e la tramandava
magari raccontando o cantando, di chi teneva in vita i segreti della natura e
le tecniche più antiche, di chi faceva la psicologa o l’erborista ogni giorno
senza saperlo. Sarebbe bello guardare con occhi nuovi la vita dei popoli, le
mentalità che cambiano, le sensibilità che influenzano le culture. L’evoluzione
non è solo fatta di uomini famosi, ma della mentalità della gente comune, e si
può studiare non solo focalizzandosi sui grandi eventi, ma su lunghissimi
periodi temporali più sfumati e sovrapposti, in cui anche la cooperazione, e
non solo la competizione, ha consentito alla razza umana di progredire. Questo
significa intrecciare i sentimenti e il vissuto delle persone con le variabili
economiche, sociali e culturali, e ottenere NOI UMANI. Significa scrutare
dentro archivi giudiziari e notarili, ma anche tra corrispondenze epistolari
private e diari, cerimonie e modi di parlare, autobiografie e biografie.5 Si
chiama antropologia storica, e per fortuna è operativa da tempo. Anche la
stessa storiografia si è data impulsi nuovi; d’altra parte, come tutte le
scienze, è tale proprio perché si smentisce e si perfeziona, e oggi non
crediamo più che la terra sia piatta: negli anni ’60 del novecento, attiviste
studiose come Joan Kelly e Gerde Lerner hanno inaugurato le ricerche di
studiose e studiosi, incarnate in centinaia di lavori (tra cui le ricerche del
medioevalista Georges Duby), che hanno consegnato un risultato certo: le differenze
in base a ceto sociale, epoca storica e nazione, valide per i maschi, non hanno
pesato sulle donne così tanto come per gli uomini; ha inciso molto di più
“l’essere di sesso femminile”, non importa dove e quando.
Non vi
è stato Rinascimento per le donne o, almeno, non durante il Rinascimento6.
Un
destino comune, specie per le donne d’Europa, che voleva dire contare qualcosa
(ed essere tracciate su un documento di rilevanza storica) solo in quanto
mogli, madri, figlie o sorelle di un certo maschio; che voleva dire svolgere da
sempre un doppio lavoro rispetto ai maschi ( sottostimato, dentro o fuori casa
che fosse); un destino comune che significava essere circondate sempre,
regine o schiave, da una visione negativa che le voleva inferiori per natura, e
che le influenzava profondamente al ribasso nei sogni anche più teorici,
figuriamoci nelle loro realizzazioni.