Una
scritta squarcia lo schermo nero del computer e annuncia che il 60% del
pubblico televisivo è costituito da donne. Poi, nel video esplode la musica da
discoteca e appaiono gambe nude che si dimenano su alcuni cubi in uno studio
televisivo, durante una nota trasmissione che intrattiene tutta la famiglia, la
domenica pomeriggio. Sono travolta da venticinque minuti di un collage delle
immagini che popolano la nostra cara televisione ogni giorno, a ogni ora,
sostanzialmente donne svestite, se mute o parlanti sembra essere secondario. E’
il documentario “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo1. L’autrice sottolinea le immagini con voce asettica
che lascia la preminenza alle scene, rivelandone un significato profondo che a
quanto pare pochi intravedono, talmente siamo ormai abituati a considerare
certe cose “normali”. Prorompono dal monitor donne in perenne lotta contro il
tempo, snaturate dalla chirurgia estetica, presenti sul piccolo schermo in
quantità ma non in qualità, mai autentiche, ormai lontane anni luce dalla
consapevolezza dei propri bisogni veri perché tutte protese a soddisfare i
desideri maschili della minoranza che guarda la tv, seminude protagoniste
di spot pubblicitari in cui l’oggetto da vendere è destinato alle donne stesse.
Anna Magnani soleva raccomandare con la consueta passione al proprio truccatore
di non cancellarle le rughe, di lasciargliele tutte, perché ci aveva messo una
vita intera a farsele. I volti delle donne di spettacolo contemporanee sono
maschere grottesche che hanno perso la loro unicità, in cambio di una
perfezione illusoria che però permette loro di entrare nell’unico sistema che
pare conti, che dà fama e denaro. Le poche donne adulte che invecchiano sono
rappresentate come feroci e si scagliano contro quelle più giovani. In modo
subdolo ma costante, si insegna alle donne che apparire è più importante che
essere; questo però vale solo per le donne… L’immaginario pornografico maschile
ha inquinato ogni forma di linguaggio, il corpo femminile è solo un siparietto
estetico che affianca la parola che spetta sempre all’uomo. L’ultima scena è
tratta da un programma andato in onda in prima serata, in cui donne seminude
appese a corde come prosciutti vengono per gioco marchiate sulle natiche con
dell’inchiostro. Rimane incomprensibile che le donne si prestino a tutto ciò.
La Zanardo osserva, nel suo libro:
La
colonizzazione del nostro immaginario ha significato non sapere più distinguere
i nostri desideri più profondi e oggi ci osserviamo l’un l’altra come pensiamo
ci guarderebbe un uomo.2
E’ un
rapporto strano, quello degli uomini con il nostro corpo. Un rapporto benedetto
e maledetto, che esalta ma ingabbia. Il grigio sulle tempie invecchia.
Una ruga è una ruga. Così dovrebbe essere, invece no. Secondo la cultura
dominante che forgia il nostro pensiero quotidiano, le rughe e i capelli “sale
e pepe” sono affascinanti in un uomo, una grana poco accettabile a cui
porre rimedio in una donna. L’immensa Barbara Alberti in proposito è implacabile:
E
adesso bisogna pure essere fighe fino a ottant’anni. Un’altra corvée. Ma
perché? Non facevamo già abbastanza? No. La vecchiaia femminile è stata
abrogata. Dal mercato. “la plastica è il nostro burqa”, ha detto il filosofo
Gianluca Nicoletti. Appare in televisione una donna politica rifatta da capo a
piedi, tacchi sperticati, gambe al vento, seno di fuori, che brandisce come una
clava la sua femminilità artefatta. E che sta lì a fare? Pubblicità al suo
chirurgo? No, vuole lanciare una crociata per liberare le donne musulmane dal
velo. Ehi, ma ti sei vista? Non hai più un centimetro di corpo che sia tuo, vai
in giro con una maschera di pelle, hai più extension che peli, e vuoi liberare
le altre? E chi libererà te? E’ più costrittiva una maschera di pelle o di
stoffa? La plastica è il nostro burqa.3