Capitolo zero

Sono al tuo funerale. Cammino dietro la tua bara lungo la navata centrale della chiesa, qualcuno improvvisamente mi appoggia una mano su una spalla perché sto piangendo a dirotto. E’ la dannata musica tipica delle celebrazioni di commiato, che mi scava dentro. Ma no, magari fosse così…! Sono io la dannata cretina, piango per te.

Fisso un punto fuori del finestrino, cerco  di concentrarmici di brutto per non pensare, ma quel riferimento fisico, a cui si arpiona la mia mente disperata, se ne va ogni volta che ci muoviamo. Guardo i passanti attraversare, vorrei che ci fermassero, ci chiedessero qualcosa, qualunque cosa. Lo sapevo che sarebbe successo, succede tutte le volte. Maledetta me che ho messo la gonna, la tua enorme mano destra si insinua sul ginocchio e cerca di risalire lungo la coscia, sguscio via come posso spostandomi sul sedile verso la portiera, ma l’auto è la più piccola del mondo e non c’è abbastanza spazio per scappare.  Tu scherzi, come sempre. Eccome se scherzi, con la voce, con le parole, con le risate… Con la mano invece sei serissimo. E’  l’unica cosa che conta,  eppure tutto il resto narcotizza i sospetti, non puoi fare sul serio, proprio tu e proprio con me. La consapevolezza galleggia attonita in un limbo di incredulità, ignoranza, fiducia, bene, ingenuità maledetta. Se non è niente di grave non è da raccontare, neanche alla maestra a scuola, neanche alla compagna di banco. A nessuno.

Questa volta il finestrino non è più lo stesso, nel frattempo hai cambiato auto. Nessun passante in vista, è una zona industriale. Mi hai accompagnato a casa, è sera tardi e hai fatto il giro lungo… Ti sei ficcato in testa di baciarmi a tutti i costi, allunghi le braccia e mi afferri, mi divincolo e spalanco la portiera, poi scendo e comincio a camminare verso casa. Le  mie parole non sono servite a fermarti, le tue sono meno scherzose di un tempo, ormai tanto non me la bevo, sono passati un po’ di anni. Ho intenzione di andarmene a casa a piedi; quando lo capisci, ci dai un taglio, mi supplichi di risalire e finalmente mi porti a destinazione. E’ finita anche questa volta, fino alla prossima. Fino a quando entrerai in casa mia e mi saluterai abbracciandomi tranquillamente, ma stretto stretto, cercando di sentire il mio corpo, davanti ai miei genitori, a tua moglie, a tuo figlio. Fino a quando non verrai a trovarci cercando di restare solo con me anche  per pochi minuti in una stanza. Fino a quando non ci proverai anche con la mia migliore amica,  per anni. Io e lei non ce lo siamo ancora detto, mai, dopo tanto tempo. E’ anche questo il cemento che fortifica la vigliaccheria subdola dei maiali. E’ la paura di reagire a una cosa NORMALE, a un vero uomo che non se ne lascia scappare una, magari sta solo scherzando… Fino a quando non ti trovi su un’auto ferma sulla corsia di emergenza di un’autostrada, con lui che se lo vuole tirare fuori dei pantaloni e ti dice che “...se cominci poi ti piace!!”.

Adesso sono in giardino, ti sto aiutando a reggere la rete metallica che stai fissando lungo il perimetro della recinzione, sul confine con i vicini. Stabilizzi le viti parlandomi a voce alta, come se niente fosse, come se stessi dicendo cose normali, e io prego che i vicini non siano in casa, che non stiano sentendo, che tu riesca a limitarti a parlare, cerco di stare più distante possibile, la butto sul ridere e ti mando a quel paese. Minimizzo per non andare in pezzi, per non piangere, per fare finta che non sia vero.

E’ lì dentro, sul fondo. Si muove ogni volta che qualcosa la solletica, a quel punto urta gli altri organi, brucia come se una sorta di acido scorresse lentamente lungo i suoi bordi interni. Non va più via. Mai più.  Anzi, in questa ferita ci cade di tutto, dipende dal tuo grado di consapevolezza delle cose, dalla sensibilità, dall’assuefazione a ciò che viene considerato “normale”. NORMALE può essere il sentirsi dare della puttana a letto, essere costrette dal marito a fare sesso, sentirsi passare una mano sul sedere in tram, sedersi vicino a uno che si masturba al cinema, avere un capo che ci prova con il maggior numero di donne possibili perché è il capo, avere un amico che va in Thailandia o in Brasile regolarmente con voli charter a incontrare minorenni e non dirgli nulla, passare la vita con un uomo che tratta la moglie come una proprietà, ricevere uno schiaffo ogni tanto dal fidanzato, avere un uomo che ti RISPETTA a tal punto da concedersi certe cose solo con le prostitute. Ciò che è normale dipende dalla cultura che ci avvolge dalla nascita alla morte. Quella insegnata alle donne è di sopportazione, pazienza, rinuncia. Non capirò mai come sia possibile che  certi maschi, a volte, siano così crudeli con le creature che li mettono al mondo.

Ti sei ammalato gravemente, ancora  abbastanza giovane. Il giorno che l’hai saputo mi hai stretto la mano e l’hai tenuta a lungo ferma nella tua. Per la prima volta non c’era più niente di perverso in quella stretta, solo terrore. E’ per questo che piango al tuo funerale. Noi donne dimentichiamo presto. O forse no. Ciao zio, riposa in pace.


Rebecca


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